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  • Immagine del redattoreLeila Awad

Buon compleanno, fratello.

Il 21 settembre 2016 la storia su Luigi XIV spariva dal luogo in cui era nata, il sito EFP, per approdare, meno di un mese dopo, in libreria. Per ricordare il momento avevo scritto una brevissima parentesi tra i due fratelli reali e mi sembra un buon modo per inaugurare anche questo nuovo angolo.

Dal 16 luglio troverete tanti racconti inediti, ma per ora questo angolo appartiene solo a, loro, Luigi e Filippo, i miei due Borbone.


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Era stata una domenica sera relativamente tranquilla, avevano giocato a carte, qualcuno aveva vinto, qualcuno aveva perso. Suo fratello aveva trascorso molto tempo in compagnia di Athénaïs, ma poi si era ritirato insieme alla moglie e, poco dopo, l’intera corte si era dispersa, chi per riposare, chi per amoreggiare. Quanto a lui, si era accomodato con la testa sulle gambe del Cavaliere di Lorena e si era lasciato cullare dal costante ritmo del suo cuore, ignorando le chiacchiere della sua piccola corte personale – Guisa, Phoer e tutti gli altri cicisbei.

A mezzanotte erano state stappate bottiglie di costoso champagne, generosamente offerto dal re; avevano bevuto, riso, bevuto e bevuto ancora, finché non erano crollati tutti quanti sui divanetti di un salottino, gli abiti in disordine e il sonno pesante.

Tranne lui.

All’una Lorena lo aveva baciato, augurandogli un felice compleanno, e lo aveva trascinato nel proprio letto. Ci si era rifugiato come un naufrago che si aggrappa a un pezzo di legno in mezzo al mare.

Compiva venticinque anni, un quarto di secolo, ed era terribilmente insoddisfatto.

Si sentiva un nulla, un orpello per la corte di un altro uomo, un fastidio, sempre per quell’uomo, che il fato aveva decretato fosse suo fratello.

Luigi il re di Francia e Navarra, il sole delle loro esistenze.

E lui, il fratello minore.

Aveva lasciato il letto del Cavaliere quando ancora era notte, si era gettato una coperta sulle spalle ed era uscito su un terrazzino ad attendere l’alba di quel 21 settembre.

Per il giorno dopo avevano in programma una colazione con la regina loro madre e una grande festa per la sera. Chissà dov’era Enrichetta. Dormiva nel suo letto? Da sola?

Fu un pensiero quasi remoto, qualcosa con cui fare i conti costantemente.

Gli eleganti giardini di Fontainebleau si stendevano ai suoi piedi, ormai rischiarati dalla flebile luce dell’alba. Gli piaceva quel palazzo, ma gli mancava Saint-Claude, l’unico posto che chiamasse casa.

«Buon compleanno, fratello.»

Filippo sobbalzò: non lo aveva sentito arrivare. 

Luigi era già vestito, pronto ad iniziare una nuova settimana di febbrile lavoro, e quel confronto lo colpì ancora una volta: odiava che lui fosse il centro del mondo, ma doveva ammettere che non si era mai seduto sugli allori, pensando che tutto gli fosse dovuto.

Da quando Mazzarino era morto, non si era fermato un solo istante.

Odiava riconoscerlo. E odiava se stesso perché odiava.

Realizzò che Luigi era rimasto in piedi, il sorriso ancora sulle labbra, quasi in attesa. Di cosa? Di un suo cenno? Della sua approvazione? Lui era il re. 

Filippo si spostò sul divanetto, permettendogli di sederglisi accanto.

«Maestà, vi ringrazio.»

L’altro sbuffò: sapeva che usava un tono formale solo quando voleva infastidirlo.

 «Per domani è tutto pronto. Anche il regalo per nostra madre» aggiunse, addolcendo il tono, pensando al compleanno della regina Anna che cadeva proprio il giorno seguente.

Luigi sorrise, di quei rari sorrisi fanciulleschi che lo rendevano più uomo e meno re. Odiava anche quello, perché gli rendeva più difficile odiare. 

«Hai avuto una magnifica idea e sono lieto tu abbia deciso di condividerla. Ne sarà felice.»

«E si commuoverà.»

«Da sola, però. Dovremmo farglielo aprire in solitudine, odia mostrare la sua debolezza.»

Come loro, in fondo. Figli di Anna fin nel midollo. 

«Stamattina andrò a fare la consueta visita nella caserma dei moschettieri. Hai voglia di venire?»

La domanda lo spiazzò e reagì di conseguenza, sdrammatizzando la situazione, incapace di affrontarne i risvolti seri. «Ci sarà Blanchard?» chiese, riferendosi al moschettiere preferito del fratello, che il caso voleva fosse anche incredibilmente affascinante.

«Lascia stare Blanchard» replicò l’altro, divertito. «Non si addice alla tua corte.»

Rimasero in silenzio a contemplare l’alba, i respiri sincronizzati, le ginocchia piegate e le braccia ad abbracciare le gambe, come quando da bambini si sedevano a terra ad ascoltare le storie del Cardinale, finché il giorno non fu pieno e l’incanto venne spezzato. I domestici erano già a lavoro, ma i nobili ancora dormivano e non si sarebbero svegliati prima di qualche ora. Allo scoccare delle sette, Luigi si alzò.

«Devo andare. Ti aspetto, allora?»

Filippo guardò il fratello, specchiandosi in quegli occhi così familiari; erano il suo primo ricordo, e li vedeva ogni giorno allo specchio. «Grazie.»

Il re gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi, sciogliendo le membra irrigidite dall’aria fredda della notte. 

L’estate era definitivamente alle loro spalle.

«Buon compleanno, fratello» ripeté ancora.

E Filippo sorrise. «Ti raggiungerò.»

Luigi, soddisfatto, gli diede le spalle, poi cambiò idea e, improvvisamente, si voltò ad abbracciarlo. E Filippo ricambiò, dopo un primo istante di smarrimento.

I due fratelli Borbone, pronti ad affrontare il mondo.

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