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  • Immagine del redattoreLeila Awad

Come Venezia - II parte

Tonietta non si era accorta di nulla, quella notte, ma non le servì molto tempo per notare che qualcosa in sua figlia era cambiato.

Era sempre stata una ragazza silenziosa e schiva, ma negli ultimi giorni era diventata ancor più assente e più di una volta l’aveva sorpresa a sospirare mentre sfiorava un libro; conosceva l’amore, Tonietta, ne conosceva i sintomi, non per averli sperimentati in prima persona, ma per aver visto prostitute rovinarsi per esso. Non poteva permettere che questo accadesse a sua figlia.

Non riusciva a capire, però, dove mai potesse aver incontrato l’uomo in questione, poiché non le permetteva di allontanarsi né aveva mai creduto che i clienti, volgarotti e uomini del popolo per lo più, potessero interessarla.

Quello che la donna non capiva è che il cuore della figlia non si struggeva d’amore per un uomo, ma per una città, per un sogno che desiderava realizzare con tutte le sue forze.

Ottavia, però, era così persa in un mondo tutto suo da non rendersi conto dei sospetti della madre e degli ingranaggi che aveva messo in moto per accelerare le nozze: chiunque avesse voluto la ragazza, avrebbe dovuto pagare.

La notizia che si sarebbe sposata in cinque giorni arrivò come un fulmine a ciel sereno, destabilizzandola totalmente. Aveva creduto di avere più tempo per prepararsi, più tempo per illudersi di poter trovare una soluzione, più tempo per dire addio ai sogni e alla giovinezza. Cinque giorni erano così pochi…

Quando Enrico la trovò nel nascondiglio, quella sera, la ragazza scoppiò a piangere senza neppure avere il tempo di spiegare, ma l’uomo era già stato messo al corrente e, benché ella non potesse saperlo, si era recato al bordello solo per farle una proposta.

«Sposami.»

Ottavia alzò il volto e lo fissò in silenzio, senza comprendere.

«Sposami.»

«Perché?»

Una domanda sciocca, ma l’unica davvero rilevante in quel momento.

«Perché hai bisogno di un marito o fra cinque giorni sposerai quel tale» replicò, semplicemente.

«Perché volete aiutarmi, Enrico? Io non sono nulla per voi.»

L’uomo le spostò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e le sorrise come avrebbe fatto un padre o un fratello maggiore, non certo un amante.

«Perché tu ed io siamo uguali, bambina, speriamo che prima o poi Venezia ci nasconda dentro di sé, alleggerendo qualsiasi sofferenza, e nel frattempo ci limitiamo a vivere in un perenne tramonto in attesa del momento in cui la notte ci inghiottirà, uccidendoci. Non lasciare che il sole tramonti su di me. Benché io cerchi me stesso, è sempre qualcun altro che vedo. Nuove maschere, nuovi ruoli… Tu sarai una moglie infelice e io un marito pessimo, condurremmo al dolore noi stessi e gli altri. So che mi capisci, sai che è così. Ti sto proponendo una via d’uscita.»

«Vorrei farlo, lo vorrei con tutto il cuore, ma… Perché mai vorreste sposare me?»

L'uomo non rispose, ma la invitò a seguirla facendole cenno di mantenere il silenzio: la ragazza lo assecondò, decisa ad andare fino in fondo a quel mistero. Ciò che vide oltre la tenda del baldacchino bastò a dipanare la matassa.

Un ragazzo riposava, il bel volto disteso da un sonno tranquillo e il corpo quasi totalmente scoperto: Ottavia sorrise e annuì, mentre le parole di Enrico facevano presa nel suo cuore e nella sua anima. Lei capiva.

Una prostituta e un sodomita o, per un occhio più attento, una donna che amava la bellezza e un uomo che amava disperatamente un altro uomo.

«Se prendi me, prenderai anche lui, questo voglio che sia chiaro.»

«Non avrei mai pensato di chiedervi diversamente.»

Perché avrebbe dovuto, dopotutto?

«Sii meno formale, ti prego: ti ho appena chiesto di sposarmi.»

E Ottavia sorrise, lieta che l’avesse detto. «Come vi siete incontrati?»

«Non ci siamo mai incontrati, in realtà. Lui c’è sempre stato. Siamo fratelli di latte, nati a una settimana di distanza e mio padre gli ha permesso di seguire le mie stesse lezioni purché mi facesse da cameriere personale. Abbiamo anche perso la verginità la stessa notte, tra queste mura dove eravamo venuti con altri amici… Potevamo avere a disposizione ricche cortigiane, ma i bordelli hanno più attrattiva sui ragazzi di quindici anni» aggiunse con un sorriso. «Capimmo presto che le donne non avevano alcun fascino su di noi e che eravamo sempre stati innamorati l’uno dell’altro, così le notti qui divennero il pretesto per stare insieme lontano da occhi indiscreti. Mamma Anna è una cugina della madre di Federico.»

«Un matrimonio metterebbe fine a tutto questo.»

«Sì e no, non rinuncerei mai a lui, ma di certo sarebbe più difficile perché una moglie non lo accetterebbe mai. Capisci perché desidero sposarti? Tu lo accetteresti e sono sicura che vi piacereste molto. Me lo ricordi sotto molti aspetti, per questo mi hai colpito.»

Ottavia sorrise, ma non accettò. «Cosa ti fa pensare che la tua famiglia mi accetterebbe?»

«L’opportunità. Le uniche donne i cui padri sono disposti ad avermi come genero provengono da famiglie di recente patriziato che non porterebbero molti vantaggi sociali, soprattutto considerando che le donne veneziane sono per lo più rintanate in casa. Una cortigiana, d’altro canto, avrebbe accesso alle più alte cariche della Serenissima, ai prelati, alle feste migliori… Opportunità. Ho una casa poco distante da piazza San Marco pronta da anni in attesa delle mie nozze: potrai avere un’ala solo per te, sceglierai i tuoi clienti da sola e il guadagno sarà totalmente tuo. Io da parte mia mi impegnerò a farti conoscere Marianna.»

«Marianna, quella Marianna?»

Ottavia non l’aveva mai vista, ma sapeva perfettamente chi fosse una delle più importanti e ricercate cortigiane di Venezia.

«Lei. La conosco da anni e sono sicura che sarà ben felice di insegnarti il mestiere, tanto più che sta pensando di ritirarsi. Non sarà facile lì fuori, bambina, ma se è davvero quello che vuoi, allora insieme potremo farcela.»

E Ottavia lo voleva, ardentemente e disperatamente: ciò che Enrico stava mettendo ai suoi piedi era quello che aveva sempre sognato.

Aveva bisogno di un testimone per le nozze, Enrico le aveva concesso solo due giorni, poi si sarebbero incontrati alle nove in una piccola cappella poco distante dal bordello. Tonietta quella notte sarebbe stata impegnata con Antonio e la sua presenza non era richiesta, così nessuno si sarebbe accorto della sua assenza se non a cose ormai fatte.

Aveva bisogno di un testimone, però, e si avventurò ai piani inferiori con la scusa di riportare alcuni abiti che aveva rammendato: consegnò il carico alle prostitute e si fermò a parlare con alcune di loro, quelle che l’avevano vista crescere e i cui volti Ottavia aveva osservato passare dal colore naturale a quello fittizio dei troppi trucchi. Quel posto era casa sua, ma non le apparteneva.

Mamma Anna aveva appena cacciato un cliente troppo insistente quando la raggiunse per chiederle di parlarle privatamente.

Bastarono poche parole per spiegarle ciò che aveva in mente, certa che forse non l’avrebbe appoggiata, ma certo non l’avrebbe tradita.

«Enrico, eh? L’Enrico del mio Federico?»

«Enrico Foscari, sì. Ti prego, Mamma Anna, mi conosci e conosci mia madre… È una vita, quella con lei, che non sopporterò a lungo. Sei la mia unica speranza.»

La pregava, ma il suo volto non aveva perso neppure un briciolo di dignità: danzavano le fiamme in quegli occhi, che erano cresciute giorno dopo giorno e che Tonietta aveva avuto l’arroganza di non vedere mai.

La verità era che Mamma Anna una madre non lo era mai stata e le sue ragazze erano quanto di più vicino avesse a una famiglia. Ottavia, però, era diversa, non perché Tonietta superbamente lo affermasse, ma perché vi era una tale innocenza nel suo animo e una tale forza di volontà che la rendevano pericolosamente distante da quelle ragazze più o meno adulte che trovavano nella prostituzione la propria strada. Ottavia poteva aspirare a più di quello che un bordello poteva offrirle. Ottavia poteva avere tutto. Fu per questi motivi che quella notte le disse di sì.

«Farà di me una cortigiana, Mamma Anna.»

Gli occhi le brillavano mentre pronunciava quelle parole e la donna si ripromise che se Enrico poteva renderla una rispettabile cortigiana, lei avrebbe fatto in modo che Tonietta non interferisse mai.

«Sarai la cortigiana più desiderata di tutta Venezia, mia cara. Se qualcuno può farlo, quella sei tu. Cosa ne sarà di tua madre?»

«Non lo so. Non la abbandonerò, certo, sai che non potrei. Le darò una cospicua cifra al mese, ma ciò che ne farà non sarà più affar mio.»

«E stanotte sia, allora. Sarò felice di avere una parte nella felicità di tre persone a me così care. Nanà potrà badare alle ragazze in mia assenza.»

Fu di parola e fece anche di più: prima di uscire intrecciò i capelli di Ottavia e le prestò un abito color lavanda, il più sobrio tra quelli della sua giovinezza. Una sposa anticonvenzionale per un matrimonio che rompeva qualsiasi regola.

Enrico la attendeva all’altare insieme a Federico ed al prete, sorridente: era il suo futuro, solido e stabile, e mentre pronunciavano i consueti voti ciò che promettevano, in realtà, era l’impegno solenne di impedire che il sole svanisse dalle loro vite. Sarebbero stato l’uno il perpetuo tramonto dell’altra.

***

L’albero di corniolo era cresciuto ormai, così come era cresciuta lei. Dieci anni dopo la fanciulla aveva lasciato il posto alla donna, alla cortigiana che aveva stregato Venezia così come Venezia aveva stregato lei. Un matrimonio felice, più di quanto si sarebbe aspettata. Il corniolo era lì, sotto la sua finestra, a perpetuo memento della promessa che Enrico le aveva fatto il giorno in cui l’aveva condotta in quella che sarebbe diventata la sua casa.

Ottavia era nata per essere una cortigiana, amava con tutta se stessa l’uomo che sceglieva per la notte, spogliandosi di abiti e timori, donandosi senza remore o inibizioni, ma all’alba qualcosa mutava e la cortigiana diventava una moglie e un’amica, perché non esisteva un unico modo di amare e lei lo sapeva bene. Enrico lo sapeva bene.

Qualsiasi cosa ci riservi il futuro, le aveva detto sotto l’albero, la affronteremo insieme.

Non era stato facile, all’inizio, perché entrambe le famiglie avevano osteggiato quell’unione, ma insieme, l’uno accanto all’altra, erano riusciti a superarle e a diventare una delle coppie più invidiate della città; giravano voci, naturalmente, ma entrambi avevano protetto l’amore di Enrico e Federico con le unghie e con i denti, mostrandosi uniti e affiatati.

Era felice.

Aveva scelto i propri amanti in piena libertà, sotto la protezione di Enrico e del Cardinale, il suo primo e più affezionato cliente, al punto che non di rado gli uomini giungevano da fuori per una notte con lei. Presenziava a cene e feste, ad esposizioni d’arte e spettacoli teatrali, mentre Venezia le si presentava in tutto il suo fascino, contraddizioni comprese, luci e ombre che si fondevano e la inebriavano, mai sazia e mai stanca. Alla fine, però, tornava sempre a casa, tra quelle mura che erano diventate il suo nuovo nascondiglio.

Avrebbe dovuto saperlo, però, che quella felicità non sarebbe potuta durare per sempre.

Sospirò e si rigirò tra le lenzuola senza trovare il coraggio di uscire dal letto nonostante mezzogiorno fosse passato da tempo: sarebbe rimasta per ore ad ascoltare il suono dell'acqua dei canali che si infrangeva sulle mura delle abitazioni, pigra, leziosa, proprio come lei. Ottavia somigliava a Venezia.

Enrico, però, l’aspettava.

Era dimagrito tanto, troppo, nell’ultimo mese e ogni notte Ottavia andava a dormire con il terrore di svegliarsi senza di lui, l’indomani.

Stava male, Enrico Foscari, e nessun medico, non importava quanto famoso, sembrava essere in grado di curarlo.

Sistemate i vostri affari, non sappiamo quanto vi resta, può essere un anno come un mese.

Dieci anni di felicità era ciò che la vita le aveva concesso e Ottavia si era chiesta spesso cosa ne sarebbe stata di lei e Federico quando lui se ne fosse andato. La sola idea le era insopportabile.

«Il Cardinale mi ha proposto una cosa, oggi.»

«Mia cara, sai che adoro il suono della tua voce, ma sai anche che non mi interessa cosa tu e i tuoi clienti facciate in privato.»

Ottavia gli lanciò un cuscino, che Enrico prese al volo, scoppiando a ridere, ma un eccesso di tosse gelò tutta l'allegria. La giovane gli si avvicinò, tamponandogli il volto con un fazzoletto pulito.

«Stai sempre peggio.»

Enrico le sorrise debolmente e poggiò il capo sul suo grembo. «Raccontami di questa proposta.»

«Il Cardinal Mazarino e la regina di Francia si stanno guardando attorno per trovare la cortigiana perfetta per il giovane Luigi. Vuole inviare una lettera con il mio nome...»

«Mi sembra un'ottima proposta.»

«Per lui! Certamente Mazarino lo ricompenserà.»

Enrico sorrise. «Anche per te mia cara. Ottavia Foscari, la cortigiana di Luigi XIV. Suona bene.»

Enrico già lo sapeva, forse aveva addirittura orchestrato lui l’intera trattativa, ma Ottavia lo comprese solo quando insistette affinché accettasse.

Non voglio che tu mi veda morire.

Sapeva che non gli rimaneva molto tempo da vivere e desiderava che le persone che amava di più al mondo potessero essere felici: senza la sua protezione Venezia non aveva molto da offrire loro.

La Francia, d’altro canto, avrebbe rappresentato un nuovo inizio.

Ottavia aveva chiuso le tende della carrozza, incapace di osservare Venezia che spariva alle sue spalle. Non aveva salutato nessuno, né sua madre, né Mamma Anna e le poche amiche che si era fatta nel tempo, e aveva trascorso gli ultimi giorni a Venezia al capezzale di un Enrico sempre più debole.

Non voglio che tu mi veda morire.

Aveva cercato di non piangere, davanti a lui. Aveva cercato di regalargli il sorriso che tanto amava e l’allegria che l’aveva colpito sin dall’inizio. Parlavano di Venezia, facevano progetti per la Francia, finché il giorno della partenza non arrivò e lei dovette dirgli addio, con il cuore straziato da un dolore che non credeva fosse possibile provare, così intenso da toglierle il fiato. Enrico era la sua famiglia. Era tutto ciò che avesse.

«Grazie.»

«Per cosa?»

«Per avermi regalato tutto questo.»

«Venezia è ciò che posso donarti io, ma ti auguro un uomo che metta il mondo ai tuoi piedi.»

Le aveva augurato l’amore, un amore folle e totalizzante come quello che lo legava a Federico. Le aveva augurato la felicità, in quelle terre straniere che, era sicuro, l’avrebbero adorata.

«Il volto di Federico è stato il primo che ho visto e voglio sia l’ultimo che vedrò. Auguro a te la stessa fortuna, mia cara, quando lascerai, vecchia e felice, questo mondo.»

«L’amore non è cosa da cortigiane.»

«L’amore spetta tutti, basta solo farsi trovare pronti ad accoglierlo. Fidati di me.»

Ottavia si era fidata, come sempre aveva fatto, ma non era sicura di nulla ormai, se non del dolore che l’aveva accompagnata costantemente durante il viaggio, chiedendosi a ogni tramonto se anche Enrico lo stesse guardando o se i suoi occhi si fossero chiusi per sempre. Il sole stava tramontando su di lui, ma lei aveva tenuto fede alla promessa ed Enrico, finché avesse avuto vita, non sarebbe stato costretto ad indossare una maschera.

Infine, giunse la Francia, splendente e colorata, proprio come l’avevano immaginata, e caotica, chiassosa e piena di vita. Federico l’avrebbe amata e quei luoghi, quella città che Enrico aveva scelto con così tanta cura, sarebbe stata il loro nuovo nascondiglio, all’ombra di un corniolo. Perpetuo memento.

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